La sfida
Un breve racconto che utilizza una serie di parole desuete individuate dalla Società Dante Alighieri. Da un giochino che si erano inventati quelli di Libero.
– Buondì, Signor Perlingeri – fece Michele entrando nell’ufficio buio come un cielo procelloso. Come sovente l’uomo era ricoperto da un nembo di fumo più denso di quelli che affollavano la volta nubilosa quando c’era il brutto tempo.
– Perdincibacco ragazzino, non vedi che sono occupato? – tuonò il Signor Perlingeri distogliendo lo sguardo dal calcolatore.
– Mi scusi ma lei…
– Come hai detto, “lei”? Vedi forse una donzella da queste parti?
– Già, mi scusi, Voi…
– Suvvia, rompi gli indugi e appropinquati. Con quella vocina non riesco proprio a capirti.
– Mi chiedevo se voi avevate dei soldi da dare a quel signore che si è messo davanti alla porta. Dice che se non gli date niente, non se ne va, e temo che i clienti possano sentirsi a disagio.
– Quel pitocco è ancora lì? Ma cosa crede, che ho soldi da regalare? Come se l’allibratore non fosse un mestiere duro ma un diporto. Accipicchia! Piuttosto, digli che il suo stratagemma è ormai desueto. Se non va via lo infilzo con un rostro. E sbrigati che poi ho bisogno di un aiuto con l’elaboratore elettronico. Dannata innovazione!
Michele si diresse al portone. Quando l’aprì trovò il mendicante appoggiato allo stipite della porta, seduto su un grosso libro.
– Mi scusi ma il Signor Perlingeri dice che se ne deve andare. Che non le darà niente. E se mi permette, oggi mi sembra più pugnace del solito.
– Pugnace egli? Suvvia, che è solo mostranza.
– Ma dice che la infilzerà con un rostro!
– E dove lo troverebbe codesto rostro, in un museo navale, forse?!
Michele lo guardò perplesso, la sua conoscenza delle navi era troppo desultoria.
– Piuttosto, – continuò il mendicante, – digli che sono troppo lasso per andare. E digli pure che lo sfido, visto che parla tanto di rostri, con un indovinello che riguarda una parola. Se indovinerà di che parola si tratta, andrò via senza dir nulla, ma se non riuscirà, allora dovrà farmi preparare da sua moglie un bel manicaretto. Ho questa immago di un piatto fumante, fissa nella testa in tutta la sua plenitudine…
– Cos’è quell’espressione, Michele. Hai fatto fiasco, nevvero? Perbacco, mi farete tutti perdere la trebisonda: tu, egli e questo elaboratore elettronico. Sentiamo, cosa dice il pitocco?
Quando Michele finì di raccontargli della sfida quello esclamò:
– Garrulo! Garrulo che non è altro. Perde solo tempo e ha pure la pretesa di ingannarmi di sguincio. Ma io accetto la sfida eziandio che egli non se lo meriterebbe.
Fuori, mentre il cielo si faceva ancora più nubiloso, il mendicante pronunciò l’indovinello:
– Ho tante palette e giro nell’acqua tutto il giorno, ruotando su me stesso. Cosa sono?
– Una boa! – gridò poco dopo il Signor Perlingeri. – Sì, una boa! Gira nell’acqua tutto il giorno e ruota su se stessa. La boa, devi sapere mio caro Michele, è legata a una corda, ma se le onde girano il verso, allora può ruotare…- pontificò.
-Siete sicuro di avere bastevole ricordanza? Una boa non ha palette,- suggerì Michele.
– Già, hai ragione. Ma sarà di sicuro un particolare per depistarmi.
– Ma quale boa, è il ritrecine, la ruota del mulino ad acqua! – commentò il mendicante. – Vedi che ho fatto bene a non perdere la speme?
Più tardi, finito il suo piatto fumante, l’uomo, satollo, si alzò prendendo sotto braccio il suo libro-sgabello.
– Di cosa tratta?- chiese Michele indicando il grosso volume.
– È un vocabolario di italiano. Ora scusa ma debbo andare. Presto sarà ora di cena e ho un altro indovinello da fare.
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