Bello sì, ma proprio un capolavoro?
Ho finito ieri di leggere il mio primo romanzo di Hemingway. For whom the bell tolls, acquistato all’aeroporto di Stansted ormai un mese fa per festeggiare il fatto che lo zaino che stavo portando sul Cammino fosse più leggero del previsto. Immagino che il mio criterio di scelta abbia spaventato le commesse: in una mano avevo For whom the bell tolls, nell’altra, The Curious Incident of the Dog in the Night-Time di Mark Haddon. Una volta tanto, ho scelto solo in base al peso. E malgrado le sue 490 pagine, il romanzo di Hemingway, in versione economica, pesava di meno.
Me lo sono portata dietro per 200 km circa, su per i Pirenei, attraverso la Navarra e parte della Rioja, e poi di ritorno in Italia. Poi ieri l’ho finalmente finito.
Comincio dalle cose che mi sono piaciute di questo libro. Hemingway fa uno spaccato davvero interessante della guerra civile spagnola, ma direi anche della guerra civile in generale, in cui il nemico parla la tua stessa lingua, potrebbe essere addirittura il tuo vicino di casa. E così scattano quei meccanismi paranoici per cui nessuno si fida più di nessuno. E al tempo stesso, proprio perché il vicino potrebbe essere il nemico, si scopre che da un lato e dall’altro della barricata ci sono persone estremamente simili, che provano gli stessi sentimenti. In questo senso è davvero splendida la parte in cui la banda del Sordo viene circondata sulla collina e alla fine gli uomini di entrambe le parti, in momenti diversi, recitano il Salve Regina. Insomma, tema splendido e portato avanti bene fino alla fine.
Le cose che non mi erano piaciute erano altre. Ad esempio il dialogo: che bisogno c’era di usare l’inglese antico per rappresentare il linguaggio dei guerriglieri? A mio avviso rendeva soltanto più difficile e lenta la lettura, senza aggiungere nulla. Pomposo e basta. Non solo, la parte iniziale sembra non finire mai, non si arriva mai all’azione. E certe scene le avrebbe potute tagliare tranquillamente in blocco senza far perdere nulla al lettore. Ad esempio il bel racconto di Pilar e del suo ex torero: bello, sì, ma ai fini del romanzo non serviva a nulla, tanto valeva tenerlo da parte per un racconto breve. Se Hemingway ci avesse risparmiato 150 pagine ci avrebbe reso tutti più felici. E poi i cambi di punti di vista… Hemingway aspetta oltre 150 pagine per fare il primo, col risultato che ci si perde, e ci si chiede perché l’abbia fatto. E poi la storia d’amore non ti lascia assolutamente nulla: sono arrivata alla fine che se il protagonista e Maria riuscivano a vivere insieme felici e contenti oppure no, non me ne importava un bel niente. Molto più bello seguire le vicende di Andrés sperando che alla fine sarebbe riuscito davvero a consegnare il suo dispaccio malgrado i mille ostacoli. Ecco, questo è l’ultimo elemento di questo romanzo che non mi ha convinto: l’empatia. Ne ho provata di più per personaggi secondari come Andrés o Anselmo o anche Fernando, che non per i protagonisti. Ed è per questo che il finale mi ha lasciata un po’ indifferente.
Nino
23rd Agosto 2008 at 11:19 pmCiao,
Hai distrutto con pochi tratti di penna un mito della mia gioventù.
Non torno sul testo che vagamente ricordo
…’‘E allora, non chiedere per chi suoni la campana. Essa suona per te”
‘Nessun uomo è un’isola ” diceva il don Arnaldo, responsabile della Missione cattolica italiana di Zurigo (anni ’60/ ’70) parafrasando il poeta John Donne.
Ernest Hemingway è un testimone del suo tempo, uno che Donne deve averlo letto; un giornalista che diventa romanziere per raccontare i disastri del secolo breve
Comincerei da qui.
GS Nino
ps
pasavo per augurare una serena domenica.
tonnios
27th Agosto 2008 at 8:06 amciao ti ho mandato una mail su gmail
t’s