Come un’interlinea minima
di Slawka G. Scarso
Mi sono abituata
a parlare con l’interlinea tripla,
e tra le righe a infilare
pezzi di racconti, a volte
storie intere. C’è più fascino
dicono, nel non mostrare,
nel lasciare un velo
– appena – di mistero.
Solo che al velo preferisco
un tappeto fitto
come quando da piccoli
si nascondevano i giochi
per fare più in fretta
a riordinare tutto.
Un tempo erano
fogli da colorare, pennarelli,
e mattoncini con cui costruire
città e, dentro quelle, storie.
Scricchiolava tutto,
sotto a ogni passo.
Oggi sono debolezze,
errori che la coscienza
mangiano come la ruggine col ferro.
E come allora, c’è ancora
qualcuno che arriva e alza il tappeto.
Arriva di rado, oggi, niente indagini
materne, programmate.
Arriva come hai fatto tu:
alza il tappeto e indica
la frase nascosta.
Quanto pensi – dice, dici –
quante cose pensi
di poter nascondere tra le righe
prima che qualcuno noti
una parola
fuoriuscire qui e là?
E io mi faccio piccola,
come un’interlinea minima,
prima di dire
certo, il rischio c’è
ma tu,
non l’andare
a raccontare.
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