backstage, Il vino in italia, vigneti e cantine
Friuli, terra di confine
Il Friuli del vino avevo iniziato a conoscerlo “dal vivo” qualche anno fa, quando durante una pausa natalizia ero andata con un collega a trovare Josko Gravner e Stanko Radikon a Oslavia.
Terra di confine, questa, dove se vai in giro per cantine rischi di passare il confine, oggi senza quasi accorgertene. Le zone più note si trovano infatti lungo quell’arco che segue i limiti del nostro paese allontanandosi gradualmente dal mare e il cellulare in prossimità di alcune aziende rischia di impazzire perché da un metro all’altro ti indica che sei in Slovenia, poi in Italia, poi ancora in Slovenia e infine in Italia.
Insomma, sono tornata di nuovo quest’estate, per Il vino in Italia. Esperienza bellissima come ogni mia toccata e fuga in Friuli, piena di significato, soprattutto visto che per motivi familiari quella vicinanza con la vecchia Cortina di Ferro aveva un effetto particolare su di me – la famiglia di mia madre, di origini polacche, è stata deportata dai sovietici e non è potuta rientrare in Polonia dopo la fine della guerra. Così, quando Paolo Rapuzzi al termine del nostro incontro nella sua Ronchi di Cialla, mi ha indicato la collina che vedete nella foto, e mi ha detto “La vede quella collina? Lì un tempo c’era la Cortina di Ferro” quella frase ha fatto scattare tutta una serie di ricordi d’infanzia, storie di famiglia che chiedevo a mia madre di raccontarmi al posto delle favole prima di andare a dormire.
E infatti alla fine della nostra degustazione, questo non l’ho scritto nel libro perché non volevo rischiare di entrare troppo nel personale e per giunta fuori tema, abbiamo parlato della seconda guerra mondiale, e di due episodi troppo poco conosciuti: l’eccidio di Katyn – in occasione del quale venne giustiziato per motivi politici il mio bisnonno e al quale miracolosamente venne risparmiato mio nonno, uno di 120 sopravvissuti su cinquemila vittime – e l’occupazione del Friuli da parte dei cosacchi sostenuti dai nazisti. Un gruppo di loro discendenti era tornato in Friuli di recente suscitando reazioni diffidenti soprattutto da parte delle vecchie generazioni. Discorsi che non c’entravano nulla col vino ma credo siano l’ennesima dimostrazione che visitare un produttore di vino vuol dire andare a trovare innanzitutto una persona, vuol dire condividere una storia. Vuol dire partire dal vino per arrivare oltre. Perché l’uomo, e il nostro spirito, non hanno confini. Ed è questa la nostra migliore arma per sopravvivere.
Di seguito alcune delle foto scattate durante il viaggio.
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